Alla fine dello scorso anno, ho chiesto consiglio su Instagram per dodici libri da leggere nei dodici mesi del 2022. Mi hanno scritto amicə e persone a cui voglio bene, finalmente felici di potermi obbligare pubblicamente a seguire i loro consigli, ma anche persone le cui preferenze letterarie non conoscevo così a fondo: ne è nata una reading challenge davvero strana, tra libri introvabili e grandi successi, saggi e autobiografie.
Grazie a chi mi ha suggerito un titolo: è stata –letteralmente – una sfida.

12 challenge – alla fine dell’anno dopo

Jessica Bruder, Nomadland. Il film ancora non l’ho visto (ma non è una sorpresa), però il libro l’ho amato molto: come il capitalismo abbia bisogno di persone che lavorino stagionalmente e occasionalmente e ci spinga a continuare a lavorare anche oltre i limiti di età e di forza fisica e mentale è un argomento che non ho ancora approfondito con letture e documentari ma è un tema verso il quale sono molto sensibile. Lo rileggerei e lo consiglierei.

Giulia Saladino, Romanzo civile. Le pagine in cui descrive Palermo sono semplicemente meravigliose: si sentono tutto l’amore, l’astio, la preoccupazione, il brulicare della vita – ma non sono abbastanza per compensare le altre, che ho trovato molto difficoltose da navigare e ricordare. Non lo rileggerei e non lo consiglierei.

Roberto Bolaño, I detective selvaggi. Ho tantissime idee dopo aver finito questo libro, così tante che ne ho parlato per settimane con Davide e Giovanni, le due persone che più mi hanno parlato dei Detective negli ultimi anni – e su certe cose non siamo ancora d’accordo. Questo libro è un enigma, ancora più bello perché probabilmente non lo risolveremo mai. Lo rileggerei e lo consiglierei.

Daria Bignardi, Non vi lascerò orfani. Sarà che l’ho ascoltato letto da Bignardi stessa via Audible (viva le prove gratuite), sarà che quando parlava della madre al lido ho capito subito che immagini aveva in mente la persona che me l’ha consigliato, ma qua e là mi sono commossa. Non sono riuscita a trovarlo universale come invece certe autobiografie o biografie sanno essere – si veda Ernaux, che amo da sempre e che finalmente quest’anno è stata celebrata universalmente, o anche Carrère che invece spero di non leggere mai più ma che è in fondo a questa pagina – e quindi non mi ha toccata se non quando parla brevemente dell’assenza, ma credo sia stato perché è qualcosa a cui penso sempre io di mio. Non lo rileggerei e non lo consiglierei.

Robert McLiam Wilson, Eureka Street. Sono stata felicissima quando mi hanno proposto questo libro perché era già tra quelli proposti dal gruppo di lettura de La confraternita dell’uva, uno dei miei posti preferiti al mondo, e non avevo ancora avuto modo di leggerlo perché, vivendo lontana da Bologna, mi appunto tutti i libri che Giorgio ora e Francesca prima suggeriscono. Ho divorato Eureka Street, ma mi è sembrato di non riuscire ad apprezzarlo fino in fondo, come se rimanesse sempre in superficie. Non so se lo rileggerei ma lo consiglierei.

Sergio González Rodríguez, Ossa nel deserto. Giovanni non lo sapeva quando mi ha proposto questo libro ma per anni ho evitato, nei miei ascolti di podcast true crime, i casi di Ciudad Juárez. Leggerne è stato terribile e importantissimo: un libro essenziale nel mio ripiano dedicato al femminismo e alle inchieste. Lo rileggerei e lo consiglierei.

Natalia Ginzburg, Tutti i nostri ieri. Ho capito che l’omonima dell’autrice che mi ha consigliato ormai mi conosce molto bene: leggere Ginzburg è ormai come tornare a casa – e dio quanto ne avevo bisogno quest’anno. Lo rileggerei e lo consiglierei.

Natsuo Kirino, Le quattro casalinghe di Tokyo. Il primo libro che non ho letto quest’anno: per la maggior parte del tempo non è stato disponibile e finalmente a dicembre è stato ristampato, ma era un po’ tardi per riuscire a stringere seicento e passa pagine in pochi giorni. Me lo vorrei riservare per il prossimo anno, però, perché ne ho letto davvero bene e vorrei approfondire la letteratura giapponese contemporanea meno mainstream.

Benjamin Labatut, Quando abbiamo smesso di capire il mondo. Con un po’ meno di sesso con minorenni* in mezzo, questo libro piacerebbe molto a persone come mio padre. Mio padre ha 72 anni, è un vecchio comunista maschilista abbastanza conservatore, continua a rileggere sempre gli stessi libri perché dice che nulla di bello è più stato scritto. Nonostante sia indubbiamente scritto (tradotto?) bene, non lo rileggerei e lo consiglierei solo a persone simili a mio padre.

Madeline Miller, La canzone di Achille. Ci piace BookTok? Non lo so, ma probabilmente sta salvando titoli e case editrici dall’oblio, quindi va tutto bene. Perché non ho letto questo libro? Perché lo volevo assolutamente trovare usato, come la maggior parte dei libri della challenge, e nessunə l’ha mai venduto in dodici mesi da nessuna parte. Ho quindi imparato che è un libro da tenere?

Emmanuel Carrère, Limonov. Lo dico: probabilmente senza Santamaria a narrarlo su Audible non ce l’avrei fatta – non lo dico così per: ho abbandonato tanti altri libri perché la persona che narra non ha una voce che mi piace, stesso motivo per cui disdegno quasi tutti i podcast in italiano e gran parte di quelli stranieri. Trovo però che la sua sia perfetta per un Carrère che parla di Limonov: le ultime pagine, quelle in cui si parla del campo di lavoro, mi hanno fatto sentire che valeva la pena di aver passato sei ore a sentire parlare di peni, vagine, culi e sottocultura. Non lo rileggerei e forse lo consiglierei.

Il dodicesimo libro

Allora. Il dodicesimo libro, dato che sono andata nell’ordine in cui mi sono arrivati i suggerimenti, sarebbe dovuto essere l’autobiografia di Mel*ni suggerita dal mio ex collega del cuore, Matteo, che so che l’ha fatto perché mi vuole bene, nel nostro strano modo. Che innocenza che avevo un anno fa quando scrivevo:

Che dire, facciamo che la prossima volta sto zitta?
In ogni caso volevo provare a leggerlo perché non volevo che i miei preconcetti la realtà si mettesse tra me e la storia di una persona, ma nel momento in cui mi sono decisa a iniziarla ho sentito una repulsione tale che mi ha costretta a ripensare anche perché io legga. Un conto è sforzarmi di arrivare in fondo a Limonov, un conto è essere cosciente che Mel*ni riceve probabilmente anche diritti d’autore e quant’altro da questo libro, dalle sue letture e dalle sue condivisioni. Come cittadina, come persona e come consumatrice di libri non voglio farne parte, perciò in coda all’anno ho deciso di fare un cambio e far entrare un altro titolo tra quelli che mi sono stati suggeriti e sono arrivati troppo tardi per essere inseriti in lista.

Michelle Zauner, Crying in H Mart. Ho pianto? Ho pianto. Ho riso? Ho riso. Ho sospirato? L’ho fatto, forte. Ho cercato i biglietti di Japanese Breakfast e programmato un ritorno a Porto per cantare le sue canzoni con lei? Può darsi. È il libro che mi ci voleva per finire quest’anno? Assolutamente sì. Lo rileggerei e lo consiglierei.

Quindi, ricapitolando, è andata così:

Cosa mi ha insegnato questa reading challenge?

Che forse non la voglio rifare. Mi ha aiutata ad avvicinare e anche terminare libri che altrimenti avrei abbandonato molto presto e che, invece, mi hanno regalato sensazioni letterarie e umane importanti – come il già nominato finale di Limonov – ma, soprattutto, in questi dodici mesi ho riscoperto quanto la lettura per me, quella che non sempre faccio con scopi e obiettivi, sia importante per me. È lo stesso motivo per cui non penso di voler partecipare a nuovi gruppi di lettura: ho bisogno di cercarmi e scoprirmi in quello che leggo e ritrovare il piacere di farlo.

* un altro giorno invece parliamo di perché Lolita sia un capolavoro e non c’entri nulla con questo.

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